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A TAORMINA, ALLA SUA ANIMA ANTICA di Elisa Roccazzella

Elisa Roccazzella è nota al pubblico per le raccolte poetiche edite e  per i numerosi riconoscimenti nazionali, ha pubblicato la poesia Taormina nell’Agenda –Antologia Tempo di poesia 2018, Armenio editore, curata da Elena Saviano.  La sua opera  è caratterizzata  da un  timbro classico che dà  ritmo ai suoi versi e armonia  al suo  mondo sentimentale che abbraccia con elegante  levità la vita, la natura, i luoghi a cui è profondamente legata, in questo testo Taormina. Alle falde  dell’Etna si stende  luminosa Taormina, tra Castelmola e il Capo che da lei prende il nome. Con occhio innamorato Elisa Roccazzella la allontana dal tempo che ne ha fatto un’importante stazione turistica nel mondo per immaginare l’alba felice dei millenni  e spiegarne l’origine col mito, alla maniera dell’ αἴτιον alessandrino. Dono generoso  di dei che si sono amati e  hanno amato con voluttà  quelle terre e quel mare, cornucopia di fiori e frutti, spazio scenico  di miti, Ulisse, Polifemo, Dafni, Venere, Vulcano, Eva. Echi ammalianti come d’irraggiungibili sirene riecheggiano ancora per chi riesce a intenderne  la bellezza. E il poeta li coglie  nel silenzio interiore che l’ astrae dal rumore  del tempo presente e vivo; ad essi si protende con nostalgia, ricordando appena in punta di penna  i popoli che vi si sono stabiliti nel tempo, conquistati da quella  bellezza. Tra le loro tracce spicca la meraviglia del Teatro greco con la sua ampia scenografia marina. La storia col suo travaglio di vittorie e di sconfitte  è assente. Come pure il senso drammatico  del divenire e dello scorrere della vita sotto l’occhio lontano e indifferente dell’Etna sterminatore, propaggine contemporanea della natura leopardiana. Ammaliante risulta nelle sue reminiscenze  classiche  la poesia di Elisa Roccazzella. La scelta polita del lessico guida il suo sentimento sincero su un raffinato e ben controllato  piano di medietas , governato da un ritmo placido. Il suo monologo lirico non ribalta i miti consolidatisi nella tradizione letteraria, come avviene  nell’opera di Jannis Ritsos,  ma li percepisce ancora integri e vitali, avvolti nel mistero di un  tempo lontano in cui il poeta  si perde con inquietudine  lieve, appena percepita.

A TAORMINA,  ALLA SUA ANIMA ANTICA

Nelle plaghe dei silenzi primordiali

-l’alba felice dei millenni-

Gea sul Tauro ignuda

tra veli d’indaco

e ventate di salsedine

ammaliò-voluttuosa-il sole.

Abbandonato il cocchio alato

al regno delle nuvole,

sciolti i focosi destrieri

sulle pendici del monte erbose

tra le sue braccia la tenne

-innamorato-il sole

e con lei per sempre dimorò

e divinamente giacque.

Fiori e frutti a meraviglia

traboccarono dal suo seno:

dolce stillò la vite di Bacco

-fatale a Polifemo-

turgido maturò l’ulivo

-sacro agli eroi-

agavi –come cocci di basalto-

sull’orlo dei burroni

scrutarono incredule l’abisso,

fiori senza nome erti tra i sassi

risonarono-come arpe-

al tocco della brezza,

limoni e aranci nell’intrigo delle valli

-come lampade -s’accesero

del fuoco del Vulcano,

meli fecondi –per incanto-

frutti d’oro porsero agli dei

-come nel giardino dell’Esperidi-

E…chissà…forse allora…

nel fitto del fogliame

oscuro frusciò l’inganno

della tentazione

ad Eva più che mai sì funesta!

E il mirto fiorì nell’ombra

di spelonche  appartate…

pastori s’illuminarono di ninfe

evanescenti nella gioia dell’Alcantara,

Dafni alla  zampogna

nel segreto delle gole

la magia di Pan accordava

alla dolcezza dell’idillio

finchè la zagara…

-complice il vento di marzo-

spalancò le porte dell’Eden nascente:

“figlia della Luce e dell’Amore….

…Taormina fu…”

La vita s’estasiò di celesti melodie

e incatenò le sue radici al mare:

al mare ribollente di larve

nel turbine mugghianti

urli di mostri, deliri di giganti infelici

-pietrificati in miti e leggende-

quando tra flutti spumeggianti

fiera s’avventurava la vela d’Ulisse

per sfuggire l’ira bestiale del ciclope

e  il canto struggente di sirene

nel cuore della grotta prigioniero

e nello specchio d’eoliche scogliere.

 

E sirena irresistibile-Taormina-

il suo Jonio sedusse e lo straniero

che, nella sua malia…si consumò…

Andromaco coi prodi Calcidesi

una colonia per primo vi pose

poi il Fenicio, il Greco, il Romano,

il Bizantino e il Saraceno

e via il Normanno, lo Svevo

e l’Angioino….

tutti  la vollero come sposa

-nel fasto- adorna di monili

e  più bella, alla sommità del Tauro

il Greco con un teatro

regina l’elesse d’una favola immortale.

Ormai stella del cielo di Trinacria,

alla terra dedicò versi

d’incantevoli notturni,

al mare confidò palpiti lunari :

-l’Arte sfidò stupori d’infinito….

-la Bellezza levò un canto divino…

-la Natura rabbrividì alla carezza

del suo Autore.

Austero e solitario nel suo Olimpo

l’Etna veglia- come un dio lontano-

estraneo al mondo prostrato ai tuoi piedi,

….sordo al pianto di rovine,

…impassibile alle tragedie dei mortali

balenanti come folgori

nella paura della storia.

Già il cielo tende il suo braccio al mare,

lo scoglio di Naxos e il picco di Mola

paion levitare su magiche brume,

al tramutar dei venti…ecco

la grazia di Venere

limpida…traspare….

e l’eco d’irraggiungibili sirene

nostalgica…riaffiora…

da azzurre ed eterne sinfonie!

 

 

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