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IL CASELLANTE

(Gabriella Maggio)

Il casellante di Andrea Camilleri è andato in scena al Teatro Biondo di Palermo per la regia di Giuseppe Dipasquale il 7 marzo 2017. Nei ruoli principali Moni Ovadia, Valeria Contadino e Mario Incudine. Il casellante Nino e sua  moglie Minica vivono  in una modesta casa in campagna lungo la ferrovia durante gli ultimi anni del fascismo e sono in attesa di un figlio da tempo desiderato. Un giorno lungo i binari giungono  soldati per  costruire  fortificazioni perché si teme lo sbarco degli Alleati. Nello stesso tempo Nino viene messo in carcere con l’accusa di avere denigrato il regime, suonando col suo mandolino le canzoni fasciste al tempo di mazurca. Il giudice lo assolve, nella  scena dell’interrogatorio che è una critica divertita del regime stesso. Nino viene liberato in tempo per soccorrere  Minica, che di notte, mentre è sola, è aggredita e violentata.  Ridotta in fin di vita, perde il bambino e non può più avere figli, ma riesce a guarire  dalle ferite e,  profondamente  sconvolta per la maternità negata,  si ostina a vivere nel terreno antistante la casa nel vano tentativo di trasformarsi in albero per dare frutti almeno nella nuova condizione di vita. qui si coglie l’appartenenza del testo ad un ciclo di miti, che Camilleri, come altri Siciliani illustri prime di lui, per esempio L. Pirandello, ha pure scritto. È rappresentato il mito tutto umano della maternità, mediata però dai comici consigli di una mammana e del  contatto con la natura, realizzato con l’interramento dei piedi della donna, che ,al di là della condizione storica  divenuta intollerabile, assume valore universale. Il  tentativo  di Menica  di trasformarsi in albero è vano, la metamorfosi ovidiana non si realizza, né potrebbe oggi. Ma neppure si realizza la metamorfosi secondo l’ interpretazione kafkiana. Nino, che amorevolmente l’ha assecondata in questo suo impossibile  desiderio di farsi partecipe della vitalità riproduttiva della natura, trova per caso un neonato abbandonato durante il bombardamento, che diventerà il loro figlio. La storia è rappresentata come sospesa tra realtà, invenzione fantastica e parodia sottolineata soprattutto dalla musica, scritta da M. Incudine e G.Vasta. La rappresentazione è però scialba e poco convincente, come sospesa  tra comicità e tragedia.  Rimane su un  piano drammatico  non risolto,  non è del tutto comica, né tragica, incline all’ovvietà delle soluzioni ed ai clichè comici  della sicilianità, come l’esecuzione della canzone di sconcica,  La crapa avi li corna,  che riporta alla Sicilia rurale, anteriore alla ferrovia ed estranea allo spirito militare fascista, dove il capo locale ordinava  sconciche  e punizioni, ben obbedito dai picciotti. Secondo Camilleri il regista ha trasformato il suo tentativo di poesia in prosa in  un cunto siciliano, in cui la musica ha una valenza drammaturgica preminente che centra lo spirito motore col quale ho scritto questo lavoro. Lo spettacolo, però,  resta lontano dal ritmo incalzante del cunto  che eleva a universale una condizione individuale. La musica, infatti,   tende a volgere tutto in burla o in ghigno che non permette ai temi fondamentali affrontati come la maternità, la violenza, la dittatura di dispiegarsi nella loro complessa drammaticità. Forse questo lo percepisce Moni Ovadia quando dice :“Lo spettacolo è molto più importante di ciò che potrebbe apparire in prima battuta, perché in questa messa in scena abbiamo dato importanza a cose che appartengono ancora al nostro mondo”. Dare importanza non ha  significato  enucleare e portare alla luce la drammaticità dei temi, e forse non era neppure questa l’intenzione. Il linguaggio usato è il solito pastiche di Camilleri. Forse  imprescindibile, considerata la fama di Camilleri,  avere inserito la pièce il Casellante  nel cartellone raffinato del Teatro Biondo di Palermo per il 2017.

 

 

 

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