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INTERVISTA A GIUSEPPE CUCCIO

INTERVISTA A GIUSEPPE CUCCIO
( Gabriella Maggio)

Sig.ra Maggio

Giuseppe Cuccio è uno scultore che vive tra Palermo e Milano. L’ho conosciuto per caso e gli ho proposto un’intervista- conversazione per i Lettori di Vesprino. Mi ha invitata nel suo laboratorio per mostrarmi le sue opere. Personalità magnetica e nello stesso tempo schiva, scolpisce, disegna, modella opere di grande complessità intellettuale e potenza espressiva. Il suo laboratorio mi si è rivelato come uno spazio saturo di potenzialità che urgono tra le pareti. Figure modellate nella pietra e nella terracotta, assorte, fuori dal tempo, ma cariche dei sedimenti del tempo. Il tratto incisivo dei disegni, nero o rosso, traccia figure in tensione.

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La passione per la scultura ed il disegno gli si è manifestata sin da bambino, dice Giuseppe, ma ha dovuto lottare in famiglia per potere diventare scultore e adesso mostra con soddisfazione quanto ha realizzato: dai suoi primi studi alle ultime opere, a quelle ambite dai galleristi, ai pacchi già confezionati e in partenza per le prossime mostre. Con una punta di compiacimento mi fa scorrere la mano sulla superficie levigata della pietra scolpita, lavorata soltanto a mano con tecniche che richiedono perizia e pazienza fino ad ottenere il risultato artistico visto prima con gli occhi della mente nella materia. La conversazione naturalmente giunge al punto cruciale di ogni intervista all’ artista: la creazione. Per Giuseppe Cuccio la creazione è tensione, streben faustiano, andare sempre oltre. Le sue opere, sottolinea Giuseppe, sono caratterizzate da un’essenzialità geometrica piuttosto che da una riproduzione naturalistica dei soggetti. Il modello non gli è necessario perché lavora a memoria e da questo processo dialettico tra idea e materia, che si risolve soltanto quando questa si piega all’intenzion de l’arte, come dice Dante, prende corpo l’opera come sintesi, forma, dove trovano concretezza i suoi simboli e s’acquieta la tensione iniziale.

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Gli chiedo se condivide l’accostamento delle sue statue agli idoli cicladici come ho letto nei cataloghi delle mostre. Giuseppe Cuccio condivide l’interpretazione, anche se come tutti gli artisti sostiene che i critici leggono aspetti a cui non ha pensato; condivide soprattutto il concetto di idolo, come rappresentazione di un oggetto agli occhi e alla mente, e mi suggerisce anche l’accostamento alla statuaria egizia, ben consapevole della profonda differenza costituita dalla perdita del senso del sacro.

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Con l’antica statuaria le sue opere condividono i volumi squadrati, che conferiscono un senso di potenza. Potenza dei corpi raffigurati nella loro fisicità per lo più senza testa, eppure rivolti verso l’alto, ciechi o inconsapevoli dei valori, che tradizionalmente si collocano in alto. Noto che nel laboratorio non mancano le teste scolpite nel marmo o modellate nella terracotta e gli chiedo se questo abbia un significato preciso. Giuseppe sorride, per lui apparentemente non c’è, ma lascia che io interpreti liberamente che le teste separate dai corpi indicano smarrimento della capacità di comprendere la realtà.

L’artista sente il disagio esistenziale, ma cerca di esprimerlo collocandolo al di là di un tempo e di un luogo preciso, oltre il qui e ora, in un’atmosfera perenne.

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